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Kimono: tradizione e contaminazione
Gli antichi kimono di Gloria Gobbi e le creazioni sartoriali di Chiara Pizzinato
Comunicato stampa
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Oggi si azzardano le contaminazioni: il vintage di provenienza giapponese si presta a dare un tocco di esotismo al look. Ecco allora che il kimono diventa una sorta di spolverino da indossare sopra il jeans; l’obi un’alta fascia che esalta e colora il punto vita; l’haori una giacca che avvolge morbidamente come una mantella. Innegabile la femminilità tramandata ad ogni Geisha Pop internazionale.
Ai tempi dei Goncourt, invece, e del grande boom del Giapponismo - nella seconda metà del XIX secolo - quando il kimono faceva capolino nella moda occidentale, pur essendo indumento d’èlite, veniva usato in casa come una preziosa vestaglia.
Kimono in giapponese vuol dire “cosa da indossare” (ki, indossare; mono, cosa). La tradizione fa risalire la foggia attuale al periodo Edo (1603-1867): splendidi esempi quelli del Costume Museum di Kyoto o del Tarata Institute of Japanese Imperial Classical Costume di Tokyo.
Tuttora in Giappone il kimono viene indossato soprattutto nelle occasioni speciali come matrimoni, nascite e funerali, ma anche per andare a teatro, ad un concerto, al tempio scintoista o partecipare alla cerimonia del tè. Sono soprattutto le donne - di ogni età - a coltivare questo tipo di tradizione. A loro il compito di conservare i kimono di famiglia come fossero gioielli, smontandoli dopo averli lavati e imbastiti per poi conservarli distesi, avvolti nella carta di riso, in un mobile speciale di legno chiamato tansu.
In questo panorama di intersezioni passato/futuro, tradizione/contaminazione si collocano gli antichi kimono che Gloria Gobbi colleziona da oltre quindici anni, una trentina di pezzi di cui il più antico è un kimono da samurai in lino del XVII secolo. Una passione che nasce dall'amore per i tessuti: nel 1990, in occasione del primo viaggio in Giappone, comprò un kimono da sposa bianco con le gru ricamate con i fili d'oro. Era colpita dalla bellezza di questo indumento che non osò mai indossare, ma che teneva appeso alle pareti di casa come un’opera d’arte.
“I motivi decorativi che prediligo sono quasi sempre geometrici. Spesso le fodere degli haori sono molto più vivaci e decorate dell'esterno. In questo caso il mio consiglio è di rivoltare l'indumento, indossandolo al contrario.” – spiega Gloria Gobbi – “Il bianco si usa per i matrimoni, come da noi, ma anche per i defunti. In entrambi i casi il bianco è associato all'idea di cambiamento, di passaggio ad una nuova vita. Il kimono con cui viene rivestita la salma, però, è incrociato in maniera diversa - con il davanti destro sul sinistro - esattamente al contrario di quanto avviene in vita. Le persone che assistono al funerale, invece, vestono rigorosamente di nero, a seconda del grado di parentela. Il kimono più formale è di seta ed è dipinto a mano. La tecnica tradizionale utilizzata per la decorazione si chiama Yu zen: è una pittura a base di alghe e amido. Varie le qualità della seta: damascata, lucida, shantung, cadì, ecc. Decisamente informali sono i kimono in lino, cotone, lana e canapa. Ogni famiglia, poi, ha uno stemma - mon - che può essere dipinto, delineato o ricamato. I mon sono sempre dispari: cinque, tre, uno o nessuno. Il motivo decorativo può essere simmetrico o asimmetrico, localizzato solo sul bordo inferiore o più esteso, fino a coprire l'intera superficie del capo. Nei caldi mesi estivi si usa un modello sfoderato in tessuto leggero che si chiama usumono; a giugno e settembre, l'hitoe, che è sempre sfoderato, ma un po' più pesante; d'inverno, infine, si usa un modello foderato, l'awase. Insomma per ogni stagione, occasione, età e stato sociale si usa un determinato modello, disegno o colore. Ad esempio per andare ad un matrimonio si indosserà - come buon auspicio - un kimono con i simboli di felicità coniugale: cicogne, farfalle, ventagli, pini, anatre mandarine.”
Il tessuto è anche il motore dell’arte creativa di Chiara Pizzinato, artista e stilista nata a Treviso nel 1961, la cui formazione include una laurea in Scienze Naturali. Osservare e toccare i tessuti provenienti da ogni angolo del mondo, cogliendone le peculiarità - nella gamma di diversità - è per la Pizzinato un momento determinante. Significa accogliere in sè la “voce silenziosa” di fibre e colori che suggeriscono l’elaborazione del capo, accessorio o indumento, che lei stessa realizza attraverso associazioni e contaminazioni.
Le fibre che sceglie sono sempre naturali: lana, lino, cotone, seta... Tessuti che suscitano in lei, attraverso colori e profumi, quelle emozioni e quei ricordi che nascono dalla grande confidenza che ha con piante e fiori. A beneficiarne è il suo estro creativo che, complice la raffinata abilità sartoriale, realizza pezzi unici assemblando, di volta in volta, stoffe morbide e grezze, lucide e opache, in forme e colori sempre studiati nella loro unicità.
Vere e proprie sculture in movimento, i kimono e gli accessori di Chiara Pizzinato che Gloria Gobbi presenta nella sua vetrina.
Ai tempi dei Goncourt, invece, e del grande boom del Giapponismo - nella seconda metà del XIX secolo - quando il kimono faceva capolino nella moda occidentale, pur essendo indumento d’èlite, veniva usato in casa come una preziosa vestaglia.
Kimono in giapponese vuol dire “cosa da indossare” (ki, indossare; mono, cosa). La tradizione fa risalire la foggia attuale al periodo Edo (1603-1867): splendidi esempi quelli del Costume Museum di Kyoto o del Tarata Institute of Japanese Imperial Classical Costume di Tokyo.
Tuttora in Giappone il kimono viene indossato soprattutto nelle occasioni speciali come matrimoni, nascite e funerali, ma anche per andare a teatro, ad un concerto, al tempio scintoista o partecipare alla cerimonia del tè. Sono soprattutto le donne - di ogni età - a coltivare questo tipo di tradizione. A loro il compito di conservare i kimono di famiglia come fossero gioielli, smontandoli dopo averli lavati e imbastiti per poi conservarli distesi, avvolti nella carta di riso, in un mobile speciale di legno chiamato tansu.
In questo panorama di intersezioni passato/futuro, tradizione/contaminazione si collocano gli antichi kimono che Gloria Gobbi colleziona da oltre quindici anni, una trentina di pezzi di cui il più antico è un kimono da samurai in lino del XVII secolo. Una passione che nasce dall'amore per i tessuti: nel 1990, in occasione del primo viaggio in Giappone, comprò un kimono da sposa bianco con le gru ricamate con i fili d'oro. Era colpita dalla bellezza di questo indumento che non osò mai indossare, ma che teneva appeso alle pareti di casa come un’opera d’arte.
“I motivi decorativi che prediligo sono quasi sempre geometrici. Spesso le fodere degli haori sono molto più vivaci e decorate dell'esterno. In questo caso il mio consiglio è di rivoltare l'indumento, indossandolo al contrario.” – spiega Gloria Gobbi – “Il bianco si usa per i matrimoni, come da noi, ma anche per i defunti. In entrambi i casi il bianco è associato all'idea di cambiamento, di passaggio ad una nuova vita. Il kimono con cui viene rivestita la salma, però, è incrociato in maniera diversa - con il davanti destro sul sinistro - esattamente al contrario di quanto avviene in vita. Le persone che assistono al funerale, invece, vestono rigorosamente di nero, a seconda del grado di parentela. Il kimono più formale è di seta ed è dipinto a mano. La tecnica tradizionale utilizzata per la decorazione si chiama Yu zen: è una pittura a base di alghe e amido. Varie le qualità della seta: damascata, lucida, shantung, cadì, ecc. Decisamente informali sono i kimono in lino, cotone, lana e canapa. Ogni famiglia, poi, ha uno stemma - mon - che può essere dipinto, delineato o ricamato. I mon sono sempre dispari: cinque, tre, uno o nessuno. Il motivo decorativo può essere simmetrico o asimmetrico, localizzato solo sul bordo inferiore o più esteso, fino a coprire l'intera superficie del capo. Nei caldi mesi estivi si usa un modello sfoderato in tessuto leggero che si chiama usumono; a giugno e settembre, l'hitoe, che è sempre sfoderato, ma un po' più pesante; d'inverno, infine, si usa un modello foderato, l'awase. Insomma per ogni stagione, occasione, età e stato sociale si usa un determinato modello, disegno o colore. Ad esempio per andare ad un matrimonio si indosserà - come buon auspicio - un kimono con i simboli di felicità coniugale: cicogne, farfalle, ventagli, pini, anatre mandarine.”
Il tessuto è anche il motore dell’arte creativa di Chiara Pizzinato, artista e stilista nata a Treviso nel 1961, la cui formazione include una laurea in Scienze Naturali. Osservare e toccare i tessuti provenienti da ogni angolo del mondo, cogliendone le peculiarità - nella gamma di diversità - è per la Pizzinato un momento determinante. Significa accogliere in sè la “voce silenziosa” di fibre e colori che suggeriscono l’elaborazione del capo, accessorio o indumento, che lei stessa realizza attraverso associazioni e contaminazioni.
Le fibre che sceglie sono sempre naturali: lana, lino, cotone, seta... Tessuti che suscitano in lei, attraverso colori e profumi, quelle emozioni e quei ricordi che nascono dalla grande confidenza che ha con piante e fiori. A beneficiarne è il suo estro creativo che, complice la raffinata abilità sartoriale, realizza pezzi unici assemblando, di volta in volta, stoffe morbide e grezze, lucide e opache, in forme e colori sempre studiati nella loro unicità.
Vere e proprie sculture in movimento, i kimono e gli accessori di Chiara Pizzinato che Gloria Gobbi presenta nella sua vetrina.
08
settembre 2006
Kimono: tradizione e contaminazione
Dall'otto al 30 settembre 2006
arte antica
arti decorative e industriali
arti decorative e industriali
Location
ATELIER GLORIA GOBBI
Roma, Via Di Monserrato, 43b, (Roma)
Roma, Via Di Monserrato, 43b, (Roma)
Orario di apertura
Lun.- Sab. Orario 10.30-13.30 e 16.00-20.00 (Chiuso domenica e lunedì)
Vernissage
8 Settembre 2006, ore 21-24
Autore
Curatore