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L’arte informale ritorna a Venezia: Nancy Genn da Marignana Arte
Mostre
di Emma Drocco
“Hand made papers 1981-1988”, non è un punto di partenza, ma l’evoluzione di una ricerca più ampia, che inizia con la mostra “Living Painting” nel 2018 e continua a creare un ponte tra il lavoro di Nancy Genn e la città lagunare. Fino al 14 gennaio la Project Room di Marignana Arte collega San Francisco e Venezia, passando per il Giappone.
Un “Nomadismo culturale” come lo definisce la curatrice Francesca Valente, è forse il modo migliore per riassumere gli influssi alla base del lavoro di una delle esponenti più importanti dell’arte informale del dopoguerra, nella cui arte convivono tecniche, culture e saperi diversi.
Era il 1960 quando Michel Tapié, cita Nancy Genn nel suo fondamentale testo Morphologie Autre, collocandola accanto a personalità come Carla Accardi, Alberto Burri, Giuseppe Capogrossi, Lucio Fontana, Emilio Vedova, come pure a Sam Francis, Robert Motherwell, Louise Nevelson, Jackson Pollock, Mark Rothko, Antoni Tàpies, Jean-Paul Riopelle e Atsuko Tanaka.
«Lei viene dalla California – ha scritto Giuseppe Billi nelle sue pagine intitolate Il sogno americano di Nancy Genn – terra di arrivi e partenze orientali». Una partenza che segna nel profondo il lavoro dell’artista, creando un legame indissolubile con il Giappone, a cui, tra tutti i luoghi che hanno ispirato le sue opere, bisogna attribuire un posto d’onore.
Partendo dalle scelte compositive, l’essenzialità, distribuzione orizzontale dello spazio, sono tutti elementi tipici delle architetture nipponiche, fino alla tecnica, quella del sumie (inchiostro e acqua) che è impossibile ridurre a una mera scelta di supporto artistico, ma è l’attualizzazione di uno strumento antichissimo che da origine a “opere d’opere d’arte capaci di creare un ponte tra Oriente e Occidente», unendo la sua doppia esperienza di pittrice e scultrice, come racconta lei stessa nel testo intitolato ‘Bronzo, carta e pittura’.
1981-1988, un periodo ben definito, quello trattato in mostra, che traduce un momento specifico nella ricerca dell’artista, frutto di quelle sperimentazioni su carta che già negli anni 70 esponeva con Robert Rauschenberg e Sam Francis in diversi musei, da Tokyo ad Hong Kong, ottenendo riconoscimenti internazionali.
Gli anni ’80 sono però quelli più significativi nello sviluppo dei suoi lavori, un decennio che la vede protagonista della sua prima ‘Partenza orientale’, dopo aver ottenuto sul finire della decade precedente la prestigiosa ‘United States/Japan Creative Arts Fellowship’, una borsa di studio che le ha permesso di risiedere in Giappone.
Nancy Genn lavorerà per sei mesi nel territorio nipponico, ma quella cultura non uscirà più dai suoi lavori, al contrario si fonde insieme ad essi, fino a tradursi nel tratto stesso, nel quale il vuoto emerge tra le strisce di colore dando forza e un corpo al segno, rievocando le tipiche architetture e la distribuzione orizzontale dello spazio.
Il vuoto che viene raffigurato nelle tele, dunque, non è solo assenza, ma è molto di più, è condizione di possibilità del pieno, scrittura e pittura insieme.
«La mia esperienza nipponica – ha scritto Nancy Genn – è stata fantastica. Eseguivo schizzi ispirati all’architettura in cui riportavo i contorni, gli spazi interni e lo spirito dei luoghi. L’impatto visivo di quel periodo si riflette ancor oggi nei miei lavori attraverso la finezza cromatica e l’incisività del tratto».
Un tratto che viene sottolineato nelle sue opere grazie ad un altro elemento fondamentale, la carta, che produce manualmente. È un lavoro delicato, il giusto punto d’incontro tra trasparenza, opacità, tipo di fibra e un lavoro meticoloso e paziente, trasformando il supporto in mezzo, o meglio contenuto dell’opera stessa.
«I suoi lavori si configurano come architetture dell’anima che ci proiettano in una dimensione rarefatta, in continuo divenire, e ci lasciano sospesi, pervasi da un arcaico senso di meraviglia».