-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Chi ha ucciso mio padre di Deflorian/Tagliarini
Teatro
Édouard Louis, alto magro e biondo, felpa bianca e jeans, è pronto a farsi un selfie con chi glielo chiede e scherza con una battuta tra l’italiano e il francese. A 21 anni è diventato un fenomeno letterario, prima in Francia e poi in Europa con la pubblicazione di Il caso Eddy Bellegueule, un romanzo etno e autobiografico dove racconta la condizione sociale della Francia profonda: i suoi punti di riferimento sono il sociologo Didier Eribon e la scrittrice Annie Ernaux. Anche l’ultimo racconto pensato per il teatro, Chi ha ucciso mio padre, pubblicato in Italia da Bompiani nel 2019, è stato un successo, nella linea autobiografica dove esplora il rapporto con il padre, operaio omofobo, attento più all’apparenza che alla sostanza, distrutto psicologicamente e fisicamente dalla società. Il figlio si riscatta, quando capisce che le colpe dell’odiatissimo padre sono frutto delle colpe di uno Stato classista e meschino. Grazie al teatro, questa redenzione individuale si traduce in un senso di colpa collettivo: il testo diventa un bene condivisibile da persone che leggono libri e che vanno a teatro, le stesse della classe sociale che ha ammazzato suo padre.
La messa in scena del romanzo di Édouard Louis
Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, registi/autori romani di meritato successo internazionale, grazie ad amici comuni incontrano nel bar del Théatre de l’Odéon di Parigi Louis e decidono di mettere in scena il romanzo, misurandosi per la prima volta con un testo non loro. Così il 22 febbraio al Teatro delle Passioni di Modena, in occasione di VieFestival (che ha dovuto anticipare la chiusura il 23 febbraio anziché il 1° marzo a causa del decreto ministeriale contro il Coronavirus), ha debuttato la versione italiana di Chi ha ucciso mio padre.
La prima cosa è la scena, un cumulo di sacchi neri dell’immondizia, pieni e chiusi, accatastati in un angolo. Tre file di luci al neon in una scena completamente nera, unico spiraglio un portone aperto sullo sfondo da cui filtra una luce calda. Ma è anche una via d’uscita che lascia sperare in un possibile riscatto e insieme temere una minaccia imminente: il bastone e la carota, nel continuo stato di ansia che governa l’esistenza.
La seconda cosa è il testo. I due registi ne riconoscono la potenza e l’efficacia e lo trasformano in un monologo di un’ora e mezza.
La terza cosa è la prova attoriale di Francesco Alberici. Da Socialmente di Frigoproduzioni, con cui debuttò in un lontano 2015 a IT Festival, alla webserie EducazioneCinica, fino ai diversi spettacoli con Deflorian/Tagliarini, la gavetta di Alberici sembra essere stata tutta propedeutica per raggiungere il giusto distacco, il sorriso sempre un po’ cinico e beffardo, la violenza interiore, che permette di affrontare e sostenere la crudeltà del reale di Louis. Tutto è basato sulle sue minime reazioni, la scena è sua: vestito di nero, all’inizio di questa prima assoluta che vede in sala anche l’autore, è intimorito e titubante, a tratti un po’ mono-tono e in alcuni punti stanco, ma piano piano il suo durissimo atto d’accusa conquista l’attenzione. La voce si fa sprezzante e convinta mentre squarcia i sacchi dell’immondizia andando a pescare ricordi di una infanzia finita: l’allegro chirurgo che suo padre ha regalato al vicino, il cofanetto di Titanic trovato in dono per un compleanno… Gli unici sentimenti che trapelano sono la rabbia e l’ansia di vendetta che riempie il cuore e la testa di ogni spettatore. In una performance difficile, Alberici è riuscito a farsi ombra, facendo suo il testo di Louis, astraendo la figura individuale e trasformando la sua parabola in una storia collettiva e in un grido di ribellione sociale contro una classe politica, sia di destra sia di sinistra, che ha abbandonato ormai da tempo i principi di uguaglianza e giustizia con cui si è riempita la bocca e che ha spacciato per democrazia.
Testo di Édouard Louis
regia Daria Deflorian, Antonio Tagliarini
nella traduzione di Annalisa Romani edita da Bompiani / Giunti Editore S.p.A.
adattamento italiano Francesco Alberici, Daria Deflorian, Antonio Tagliarini
collaborazione all’adattamento Attilio Scarpellini
con Francesco Alberici